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domenica 27 gennaio 2013

Monte Dei Paschi di Siena: la resa dei conti

Caso MPS: storia, sviluppi e conseguenze dello scandalo che ha travolto la banca più antica del mondo.

SCRITTO DA FABRIZIO TORELLA - dA il numero zero.com


La banca più antica al mondo ancora in attività torna al centro del dibattito politico, dopo la serie di crolli del titolo azionario in Borsa dei giorni scorsi e le dimissioni del Presidente dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI)Giuseppe Mussari il quale, fino all’aprile scorso, era anche Presidente dell’Istituto senese. Intanto, è di ieri la notizia bomba di una maxi-tangente, 2 miliardi di euro, che rappresenta il culmine di una situazione trascinata al parossismo sotto gli occhi di tutti.
Il caso è complesso e va analizzato da diverse prospettive. I fattori in causa sono molteplici così come gli attori coinvolti nella fitta rete di relazioni improprie, gestioni dissennate, sistemi di potere, connivenze a tutti i livelli. L’elemento caratterizzante le tessere di questo intricato puzzle è la generale indifferenza nei confronti del bene pubblico.
Intanto, confidando sulla superficiale conoscenza dei fatti di un’opinione pubblica che si pensa oggetto passivo di ogni proclama populista, sguazza il “teatrino della politica” (Politica è altra cosa) che spara cifre e attribuisce colpe a destra e manca: tanto la verità è sempre relativa, e i numeri hanno ormai smarrito quell’unico valore di certezza a cui ci affidavamo.
Partiamo con ordine.
Le banche sono delle società per azioni che fanno profitto come qualsiasi altra azienda. La loro importanza è tuttavia strategica, perché il sistema economico generale si regge sul debito. Per aprire una piccola attività commerciale, per comprare la casa di proprietà, per pagare la ristrutturazione del negozio, si va in banca e si chiede un prestito. Le industrie si rivolgono agli istituti di credito per pagare i fornitori di materie prime, in attesa di incassare dalla vendita del prodotto finito, e così via in una catena senza fine da cui nessuno è escluso. Gli stessi Stati si indebitano – e neanche poco- per far fronte agli impegni della spesa pubblica.
In tutto questo chi ci guadagna sono sempre le banche.
Fino a qualche decennio fa, le grandi banche italiane erano per lo più di proprietà pubblica o, comunque, con una forte presenza dello Stato nel pacchetto di maggioranza. Inevitabile quindi l’intreccio tra finanza e politica.
A un certo punto, quando la Comunità Europea diventa una solida realtà, nonostante i suoi limiti, le norme comunitarie impongono la tendenziale privatizzazione dell’economia, tra cui il settore bancario. L’Italia, cerca di adeguarsi con la legge Amato-Carli del 1990. Come spesso accade nel nostro Paese, si sceglie una soluzione ambigua che lascia ampi margini di sopravvivenza allo stato di cose precedenti. L’allora Governatore della Banca d’Italia, pensa bene di ritirare fuori dal cilindro della storia le fondazioni bancarie, nate nell’ottocento col nome di casse di risparmio, che avevano lo scopo di sostenere le classi sociali in difficoltà e rilanciare l’economia: niente a che vedere con i fini prettamente speculativi delle banche.
Così, le vecchie banche pubbliche vengono divise in due parti: da un lato le fondazioni bancarie, soggetti pubblici proprietari di maggioranza della banca ma che, sulla carta, non possono esercitare direttamente attività bancaria. Dall’altra, le società di gestione del credito, soggetti privati che svolgono l’attività propriamente bancaria.
I vertici della fondazione sono nominati dagli enti locali, Province e Comuni. Alla luce della normativa quindi, la presenza della politica è legittima se non inevitabile– a scanso di equivoci con quanto ipocritamente denunciano gli urlatori dell’ultim’ora.
Nel 1999, una nuova Legge Amato, dal nome del suo firmatario, ritorna su quanto regolato in precedenza definito adesso dallo stesso creatore, “mostro giuridico”. D’ora in poi, le fondazioni bancarie dovranno cedere il controllo che hanno sugli istituti di credito (che possiamo tranquillamente chiamare banche) vendendo le quote di maggioranza, e diventare così enti di diritto privato con finalità esclusivamente no profit, da perseguire con i capitali derivanti dalla vendita. La legge Tremonti del 2001 torna sull’argomento, ribadendo che le fondazioni bancarie devono trasformarsi in soggetti privati senza fine di lucro.
E arriviamo ai nostri giorni.
Molte delle fondazioni bancarie continuano a detenere la proprietà delle banche, come nel caso della fondazione Monte dei Paschi. Nonostante l’omissione di quanto stabilito dalla normativa vigente, proprietà e gestione dell’attività bancaria almeno dovrebbero rimanere completamente separate. Questo in un mondo ideale.
Lo scontro politico in corso, riguarda in particolare questo aspetto: la Provincia di Siena è attualmente governata da una maggioranza di sinistra che ha nominato i vertici della fondazione, la quale a sua volta, ancora controlla la Banca del Monte dei Paschi di Siena e decide le cariche manageriali.
La colpa diventa dolo, quando i manager scelti -più o meno direttamente- operano con incompetenza e “irresponsabilità” fino alla fraudolenza, danneggiando seriamente i bilanci societari. Se la terza banca del Paese vacilla, le conseguenze si ripercuotono sull’equilibrio generale (ricordiamoci la funzione strategica delle banche nel nostro sistema). E’ costretto allora a intervenire lo Stato (ne siamo sicuri?) per porvi rimedio. Lo fa attraverso i cosiddetti Tremonti Bond: in pratica, lo Stato presta soldi, pubblici, alla banca in difficoltà. Nessuno sperpero di denaro pubblico, dichiarano i fautori di questo tipo di intervento perché, sostengono, quando la banca tornerà in buone condizioni (dove sta scritto?) restituirà quanto dovuto con un lauto interesse, circa il 10 % ( e lo chiamano aiuto).
Veniamo alle accuse rivolte alla gestione dell’ex Presidente di MPS, Giuseppe Mussari -in cui oggi si inserisce prepotentemente la vicenda della mega tangente- e al sistema di potere che lo ha sostenuto fino alla sua nomina alla Presidenza dell’ABI, ratificata dall’allora ministro Tremonti.
Nel 2007, MPS compra la Banca Antonveneta dalla spagnola Santander. La paga oltre 9 miliardi di euro per un valore invece accertato di 7. La Banca d’Italia vigila a modo suo e acconsente all’operazione,obbligando però MPS a ricapitalizzarsi emettendo obbligazioni (quindi a indebitarsi), con i cosiddetti bond fresh a un tasso d’interesse molto alto. Benzina sul fuoco.
MPS continua a cucire toppe su toppe, compra e rivende titoli derivati alla banca giapponese Nomura. I derivati sono strumenti finanziari il cui valore dipende da quello di altre cosiddette commodities: compro una cosa a 10 con la previsione che il suo valore aumenti in futuro per poi rivenderla a 11. Se questo non si verifica ma al contrario il valore scende, il derivato diventa tossico e l’acquirente si ritrova con un pugno di mosche. Si potrebbe andare più nel dettaglio, ma nella sostanza è stata una partita a perdere.
Torniamo ai 9 miliardi pagati per Antonveneta, che non vengono traferiti a Santander tutti in una tranche. Curiosamente, i 2 miliardi di differenza rispetto al valore reale accertato, sono depositati in una banca inglese a disposizione degli spagnoli, per essere poi rimpatriati a poco a poco in Italia – secondo quanto emerso dall’inchiesta in corso-approfittando di scudi fiscali e leggi ammorbidite, varati dai governi all’ora in carica (ogni schieramento si prenda le sue responsabilità!).
I risvolti futuri di questa vicenda sono imprevedibili. Gli attuali vertici della banca senese, che ieri hanno presieduto l’assemblea straordinaria dei soci, minimizzano. Il Presidente Profumo ha risposto piccato agli strali di Grillo che lo esorta a dimettersi per manifesta inadeguatezza.
Tutti attaccano tutti nella speranza di alzare un polverone che renderà difficile riconoscere le precise responsabilità.
Mentre si prospetta la nomina di un commissario che faccia chiarezza sui conti, in attesa che le indagini sulla maxi-tangente facciano il loro corso, i risparmiatori tremano, la Borsa trema, la politica trema, il Paese vacilla.

fonte : IL NUMERO ZERO.COM

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